Anno VII N. 29 Luglio - 2014

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Lungo la Via

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L'AUSPICIO

L’auspicio è che non vi dispiaccia se invece di presentarvi i contenuti della rivista, per questo numero, vi racconti una storia.
Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale, ma se qualcuno volesse riconoscersi nelle descrizioni che seguiranno, è libero di farlo: in fondo, sarebbe un atto di coscienza.
Da quando ho preso le redini di Farfaè... non avevo mai sentito, prima di adesso, il bisogno di affidare ad una storia fantastica la missione di raccontare la realtà, che a volte supera la fantasia.
A noi cronisti piace esporci in prima persona, scavare tra le pieghe della burocrazia, e testimoniare minuziosamente gli eventi ai quali abbiamo la fortuna (o la sfortuna) di assistere. Siamo inchiodati alla necessità impellente di far vivere quello che noi viviamo, di far vedere ciò che noi vediamo, di trasformare le parole in occhi puntati su tutto ciò che abbiamo intorno, anche se spesso (ahinoi!) non è piacevole.
In fondo, si, è vero, siamo dei fanatici delle parole. Parole che possono essere usate per raccontare la sagra del frittello o un sospetto di conflitto d'interesse, per parlare di una giornata ecologica o del proliferare di discariche abusive: cioè, per riportare (sempre e purtroppo ahinoi) i pro e i contro di una vicenda. Insomma parole, che per dirla con la strofa di una bella canzone, sono "frecce infuocate che il vento o la fortuna sanno indirizzare", "lampi dentro un pozzo" o addirittura "note stonate". Sarà per questo che il cronista (come tale egoista) ne è geloso.
Ma a volte è bene anche lasciarsi contagiare dall'altruismo, e lasciare ad altro l'onere e l'onore del racconto....

Dunque, la storia comincia più o meno così:

“C'era una volta un regno ormai lanciato verso una veloce e inesorabile crescita. Uno sviluppo imponente, per questo capace di spaventare gli abitanti, alcuni addirittura pronti ad alzare (chissà poi se a ragione o a torto) le barricate. Il regno era vasto e difficile da governare, e a volte la sregolatezza della popolazione riusciva pure a creare numerosi guai. Risolverli richiedeva pazienza, particolare ingegno e soprattutto tanta, ma tanta, ma veramente tanta, competenza: diventava veramente una dote irrinunciabile. Ma spesso le pressioni che si levavano da questa a quella parte facevano crescere tensioni e generavano nervosismi tra i regnanti che, inevitabilmente, finivano per sentirsi vittime di spietati attacchi personali. Ogni evento veniva visto come la rappresentazione di una perfida regia nemica. Per non parlare dei racconti che di tali eventi venivano dati: tutti schemi della stessa teoria del complotto. Capitava allora che coloro i quali si trovassero alla guida di quel complicato regno si allontanassero dalla giusta prospettiva delle cose. Che si sentissero legittimati a combattere le battaglie di quella guerra. Che scendessero sul campo con armi affilate per difendersi dai nemici. Che nessuno avesse dichiarato loro guerra, di quello invece, se ne sarebbero resi conto più tardi. Forse troppo tardi".

Eggià, questa storia, seppur fantastica, ricorda molto situazioni vicine a chi scrive, e, magari, poco percepibili da chi legge. Il lettore, per fortuna, spesso è estraneo ai meccanismi che si celano dietro alle pagine che sfoglia e legge. Fin quando questi schemi non vengono svelati. Sempre sulle pagine che si aprono sotto i suoi occhi. Perché è comprensibile che all'uomo della strada possano sfuggire i motivi che portano a scagliarsi contro l'informazione. E non sempre restando entro gli steccati della professione. Tentando di screditare e delegittimare comunicazione e comunicatori. Per l'uomo della strada il quotidiano, il mensile, il telegiornale sono occhi: fari che illuminano, giorno dopo giorno, piccole porzioni di vita reale. Quella vita reale che lo circonda e di cui a volte non capisce le logiche che si trova a subire. E allora, ecco a cosa serve la stampa, anche locale. Ed ecco svelata la ragione per la quale è così semplice prendersela con i cronisti: esseri umani che sbagliano, ridono e piangono. E a volte ci azzeccano. E' facile rintracciare in un articolo e nel suo autore la causa di tutti i mali. E' facile fare la voce grossa, inviare lettere di rettifica gonfie di sarcasmo, doppi sensi e illazioni. Ma fortunatamente a poco serve. E, poi, in fondo, per far funzionare le cose basterebbe non perdere mai di vista il rispetto. Perché il rispetto, se manca, può fermare persino un governo: basta allargare lo sguardo e anche sul panorama nazionale si possono trovare esempi. Quindi, se è vero che tutti debbano esigere rispetto ed ottenerlo, anche l'informazione deve poter essere libera. E non per il bene dei comunicatori. Ma per il rispetto dei lettori e dei fatti che vengono raccontati.

Autore: Raffaella Di Claudio

12/08/2008