Anno VII N. 29 Luglio - 2014

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La fiera tra ieri e domani

La fiera tra ieri e domani

La fiera tra ieri e domani

Lasciando a ben più noti ed esperti storici il racconto della storica “Fiera”, nel 2011 i vicoli del borgo farfense mantengono ancora il significato per il quale sono stati progettati e costruiti: essere luogo di incontro e di scambio. Oltre la cura delle anime, le mura borghigiane hanno una tipologia edilizia commerciale ben precisa che potremmo definire quasi “scientifica” per i criteri applicativi della maniera farfense. Trattandosi di maniera non si può quindi trascurare il rapporto stretto forma-funzione, rintracciabile nell’impaginato delle facciate. Purtroppo per noi, il sottosuolo di Farfa, ricco d’acqua e quindi molto instabile, ha favorito il cedimento progressivo di tutti i corpi di fabbrica che componevano il vecchio tessuto urbano della fiera, andando a ridurre nell’arco di circa quattro secoli, tutto il costruito a non più di una ventina di fabbricati, rispetto agli oltre duecento dell’originaria cittadina commerciale farfense. Pensare alla fiera antica come ad un centro commerciale però non è corretto: è vero che si trattava di un grande schieramento di varie offerte commerciali e artigianali ma la Fiera di Farfa era un villaggio dello scambio, un punto di incontro di gruppi etnici diversi, spesso tra il sud ed il nord d’Italia se non addirittura tra il sud ed il nord Europa. In realtà queste fiere erano diffuse nel rinascimento e nell’epoca barocca, ed avevano la caratteristica di ospitare commercianti ed acquirenti per molti giorni consecutivi, con forme locandiere e di bivacco. Questo tipo di struttura insediativa era imposta dai tempi: la bassa velocità di spostamento, il crocevia viario in cui si è trovata l’Abbazia e una floridità economica derivante dalla Commenda, hanno fatto sì che anche Farfa avesse la sua fiera e che questa fiera contribuisse a mantenere famoso il nome dell’Abbazia , accrescendo e rilanciandosi in importanza e floridità economica. Nell’ultimo decennio, le amministrazioni comunali che si sono succedute a Fara in Sabina, hanno immaginato di poter cominciare il recupero di questo valore storico, caratterizzandolo a partire dalla promozione del prodotto tipico sabino per eccellenza: l’olio extra vergine di oliva. Il cosiddetto oro verde sabino, è andato a connotare quindi la fiera facendola indentificare spesso come la fiera dell’olio e poiché per noi sabini l’uscita dell’olio nuovo è una festa, la manifestazione è stata sempre proposta con l’abbinamento di spettacoli e folklore. Reggere il confronto con la fiera del seicento è ancora impossibile e come organizzatore dell’undicesima edizione mi sono chiesto più volte se tendere a questo valore impossibile avesse senso. Ovviamente, per rendere un servizio valido abbiamo dovuto necessariamente pensarla come un evento dei giorni nostri ma per poter fornire quel valore aggiunto che può indirizzare al meglio mercato e territorio, abbiamo voluto ripensarla in alcuni aspetti “strutturali”. Innanzitutto abbiamo proposto nell’organizzazione il “padrone di casa” Dom. Eugenio Gargiulo, che a pieno titolo è prima di tutto il detentore del valore storico dell’evento. L’Abbazia inoltre sta riorganizzando attività e personale e a breve diventerà un punto di riferimento per il settore culturale ed erboristico. È stato sufficiente allora mettere a sistema questa risorsa con altre realtà territoriali, innovative e consolidate, ma inaspettate per quanto riguarda il tema che è stato lanciato con la Fiera. Parliamo delle coltivazioni aromatico-erboristiche. Ovviamente la fiera ha rafforzato e migliorato il quadro dell’offerta locale di olio, prodotto tipico ed artigianato artistico, anche nelle presenze degli espositori, ma la vera innovazione di quest’anno è stata lanciata con il convegno del primo giorno. La riflessione che abbiamo fatto è stata la seguente: se l’Abbazia può mettere in moto un mercato di nicchia legato alle produzioni monastiche e se tale mercato, come si immagina, dovesse espandersi, Farfa da sola potrebbe non riuscire a coprire l’intera produzione. Salvo prodotti monastici caratteristici di altre realtà abbaziali, è pensabile che nella coltivazione delle piante officinali ed aromatiche possano contribuire altre aziende agricole e che queste aziende agricole potranno avere un rapporto diretto con l’Abbazia, che si configurerebbe come marchio caratteristico per questo tipo di prodotti. Da un lato quindi l’Abbazia come punto di riferimento per la commercializzazione, dall’altro il territorio sabino come bacino di produzione con numerosi vantaggi: parliamo di integrazione del reddito agricolo, che in tempi di crisi può diventare un forte valore sociale, e di miglioramento del paesaggio con il recupero di terreni agricoli dismessi o abbandonati. Immaginate un oliveto o un terreno semiabbandonato, immaginate che da un anno all’altro il volto di questo terreno si arricchisce di colori violacei di lavanda o gialli del tarassaco, verdi di rosmarino o lilla di zafferano. Immaginate ora i nostri paesini immersi in questi colori e pensate quanto questo possa incentivare il turismo e l’indotto. Queste credo debbano essere le riflessioni e le aspettative di una Pro Loco che a Fara in Sabina ha un compito difficile: configurarsi come ente di promozione turistica, visto che per quanto riguarda l’animazione e le sagre, ci sono realtà associative in tutte le numerose frazioni comunali, che egregiamente portano avanti tradizione e folklore. In tutto questo scenario poi c’è una sorpresa: l’Istituto Agrario di Passo Corese. Nel polo didattico intitolato di recente allo statista Aldo Moro, c’è una piccola realtà scientifico-produttiva che da qualche anno si è specializzata nelle coltivazioni aromatiche e che ogni anno sperimenta analiticamente questo tipo di reddito agrario. Durante la conferenza infatti sono stati proprio i ragazzi a proporre un esempio di azienda agricola a reddito prevalente da coltivazioni alternative, forti anche dell’esempio costituito dalla loro azienda agricola. Hanno parlato di numeri reali e di quanto questo tipo di coltivazioni, complementari alle più classiche olivo-vite-frutta, possano integrare degnamente il reddito agricolo. A completare il quadro dell’incontro erano presenti alcune autorità strategiche del settore agricolo: il Direttore del Gal Sabino Stefano Martini e il Presidente della Federazione Italiana Produttori Piante Officinali Andrea Primavera. Il primo ha introdotto alcune misure di finanziamento che possono aiutare le aziende agricole nell’ammodernamento e nell’adeguamento finalizzato al settore erboristico, offrendo piena disponibilità al dialogo a tutte le aziende che volessero avviare questo settore, il secondo invece ha portato i numeri reali del settore delle piante officinali, i pro e i contro per poter investire con tranquillità e consapevolezza.
La Fiera, se di luogo di scambio parliamo, dev’essere soprattutto opportunità e il più possibile innovazione. Dare orizzonti per rilanciare il mondo agricolo è di vitale importanza perché dal comparto rurale si può ripartire, migliorando di riflesso il luogo in cui si vive e contribuendo al mantenimento del paesaggio e delle realtà culturali più antiche. L’agricoltore è il primo manutentore del paesaggio ed è un anello delicatissimo della catena economica territoriale, offrire a questa figura professionale nuove opportunità può tornare utile in questi tempi in cui le risorse per il rilancio devono cominciare a rifluire dall’interno.
I numeri della fiera, così come la potenzialità, sono stati sotto gli occhi di tutti e se la Pro Loco di Fara in Sabina avrà ancora l’onore di portare avanti questo progetto, si potrà pensare di costruire questa nuova idea di paesaggio tipico e di offrire al nostro territorio ed ai suoi visitatori, un nuovo punto di riferimento solido dalle tradizioni importanti.

Autore: Francesco Simonetti - Pro Loco di Fara Sabina

20/12/2011