Anno VII N. 29 Luglio - 2014

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Dentro L'Abbazia

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viaggio all’interno del monastero

seconda puntata tra le meraviglie abbaziali

...Il nostro sentiero costeggia poi un lungo filare di alberi da frutto, il “pomarium”, rallegrato da una bordura di iris pallida e germanica tra cui svetta la croce di Cristo: “tra gli alberi della terra, la Croce santissima, che in perpetuo dà i frutti della salvezza”. A questo punto si apre alla vista il grande pianoro, coltivato con filari di vite, a monte dei quali sono state poste delle “ibridi perpetue”: rosai utilizzati sin dall’ottocento come “sentinelle”, per indicare al contadino l’attacco dell’oidio, patologia fungina che colpisce la rosa come la vite. Il percorso continua con un viale rettilineo, alla sinistra del quale si scorge un precipizio. Evidentissima la forma architettonica del giardino, “Hortus Conclusus”: cinto da alte e possenti mura che lo rendono inviolabile e invisibile, rappresenta una sorta di fortezza impenetrabile e ostile se considerata dall’esterno, ma dolce e amena per chi da essa riceve protezione, affascinato dai simboli e dai misteri celati. Lungo il percorso si trovano, contenenti erbe eduli e ornamentali, vasche rivestite di giunchi e salici intrecciati secondo l’uso medievale. Il Paradiso terrestre è ormai alle spalle. L’uomo, allontanato da esso è ora costretto al lavoro e alla fatica, immerso in una natura dura ed ostile. In lontananza si stagliano nel cielo i neri profili di cipressi secolari e, ancora oltre, un bosco fitto e compatto, buio e inaccessibile. È la “Selva Oscura”. Come Dante spetta anche al visitatore approssimarsi ad essa, richiamando alla memoria i versi iniziali del poema: “Nel mezzo del cammin di nostra vita/ Mi ritrovai per una selva oscura,/ chè la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinnova la paura!/ Tant’è amara che poco è più morte”. Selva del peccato, della superstizione, delle paure ancestrali, di tutto ciò che ignoriamo e che sfugge alla nostra comprensione. Rappresenta i nostri timori più profondi, le nostre paure più intime in un turbine di angoscia e sconsolazione, pessimismo e disperazione. Il percorso attraverso la selva oscura è tortuoso e sinuoso, pieno di pericoli e di vicoli ciechi, vi si accede senza sapere come e se si riuscirà ad uscirne. Simboleggia la caduta dell’uomo dal paradiso terrestre al peccato. Molte sono le varietà arboree e arbustive che popolano la selva, anch’esse ricche di significati allegorici: lecci, lentischi, allori, tassi, corbezzoli, agrifogli, noccioli con un sottobosco composto da ellebori, pungitopo, felci ed edera, rose selvatiche, mimanti gli intrighi dei rovi che idealmente rimandano al biblico “roveto ardente”. In questo disordine esteriore e interiore, l’uomo può sperare di orientarsi e da esso fuoriuscire, attraverso l’uso della ragione:“Lume v’è dato a bene e a malizia. E libero voler” (Purgatorio XVI). Utilizzando le facoltà cognitive, si comincia a discriminare nel caos circostante e a comprendere che non tutto è negativo e malvagio: le stesse piante che possono arrecare la morte come il tasso (l’ingestione di 5-6 semi è letale), si rivelano potenti alleati per la vita. Da questa pianta si estrae infatti il taxolo, impiegato come farmaco antitumorale. Prendendo consapevolezza di quello che lo circonda, l’uomo riesce a districarsi dal labirinto vegetale e a interpretare razionalmente la natura, studiandola e scoprendone mano a mano proprietà benefiche e salutari.

Autore: A cura di Vincenzo Mazziotta

17/11/2011